Cultura

Nuove regole per l’altra economia

Raccoglie consensi la proposta di Zamagni di cambiare il codice civile e riconoscere l'impresa senza fine di lucro

di Francesco Maggio

La solidarietà non perde tempo. La solidarietà sa organizzarsi e generare, come abbiamo visto con Economia di Comunione, esperienze di gratuità assolutamente straordinarie. La solidarietà ha saputo dar vita in questo Paese ad un settore non profit le cui dimensioni socio-occupazionali vanno assumendo un peso sempre più rilevante nell?economia. Eppure quanta fatica. Quanti ostacoli burocratici da superare. Quanta indifferenza o, peggio, ostilità da parte del legislatore nei suoi confronti. Al punto che dopo anni e anni di discussioni e richieste del Terzo settore avanzate in tutte le sedi istituzionali possibili, ancora non abbiamo un Codice civile che contemperi la figura dell?impresa sociale. O dell?economia civile, come direbbe il professor Zamagni, autore un mese fa proprio su ?Vita? di una proposta che prevede la modifica dell?articolo 2247 del codice laddove si legge che «con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l?esercizio in comune di un?attività allo scopo di dividerne gli utili». «Non capisco perché non dovrebbero essere considerati imprenditori», sostiene Zamagni, «due o più persone che mettono insieme beni e servizi per l?esercizio in comune di un?attività economica, senza che lo scopo ultimo debba necessariamente essere quello della divisione degli utili». Così, nell?inerzia generale, il Governo vara (il 26 maggio) un disegno di legge per la riforma del diritto societario che potrà pure rivelarsi utile per le società di capitali ma che quando si avventura, per esempio, sul terreno delle società cooperative (art. 5) subito adotta scelte alquanto discutibili, sostenendo che uno dei principi cui esso si ispira è quello di «assicurare il perseguimento dello scopo mutualistico dei soci». E le cooperative sociali che perseguono un fine solidaristico dove le mettiamo? Insomma, sembra proprio che l?imprenditorialità senza scopo di lucro dovrà armarsi ancora di santa pazienza prima di vedersi inquadrata giuridicamente nel Codice civile, e a questo punto le ultime residue speranze che qualcosa davvero possa cambiare sono riposte tutte nella cosiddetta ?Commissione Rescigno? (dal nome del suo autorevolissimo presidente) che da poco meno di un anno lavora al ministero degli Affari Sociali proprio allo scopo di conseguire un simile risultato. «Il Terzo settore è cresciuto moltissimo negli ultimi anni», spiega Giulio Ponzanelli, ordinario di diritto privato comparato all?Università di Brescia, «nonostante l?assenza di una normativa di riferimento e un codice civile intriso di una cultura non certo favorevole al non profit. Per questo credo ci sia bisogno urgente di intervenire, ma sono consapevole delle difficoltà che la cosa comporta». Dello stesso avviso si dichiara Andrea Zoppini, docente di diritto privato all?Università di Sassari e componente della Commissione Rescigno: «Sono un grande estimatore del non profit e credo che sia importante procedere all?inquadramento giuridico nel codice delle imprese sociali, ma la cautela è d?obbligo visto che purtroppo non sono poche quelle che vivono ?alle spalle? del non profit e nei confronti delle quali bisogna prendere le opportune precauzioni». Chi invece non attribuisce un?importanza decisiva alla riforma del codice è Fabrizio Cafaggi, ordinario di diritto privato dell?economia all?Università di Trento e anch?egli membro della Commissione: «Alla domanda se sia necessario modificare il Codice affinché l?impresa sociale si sviluppi, io rispondo di no. Sono invece favorevole a che, con un?apposita legge, si faccia distinzione tra enti non profit che non svolgono attività di impresa e imprese sociali e poi tra quelle che erogano servizi di pubblica utilità e quelle che producono altre tipologie di beni e servizi».


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